Per capire le motivazioni di questo impressionante sforzo rimando al preludio che potete trovare nella prima versione online qui
Di seguito riporto invece un invece il capitolo introduttivo del volume XXI, l'indice
(ben 150 pagine!)
dell'intera opera, nel quale traggo le conclusioni del lavoro di raccolta e catalogazione.
And in the
end
The love you
take
Is equal to
the love you make.
The Beatles
Il brano è stato scritto
da Paul McCartney ed è un epitaffio alla carriera dei Beatles. Secondo le
intenzioni iniziali, avrebbe dovuto essere l'ultimo brano dei Beatles, cosa che
poi non avvenne, diventando, anziché l'ultima canzone dell'ultimo album, la
penultima canzone del penultimo album del gruppo. La canzone venne spostata al
penultimo posto in fase di montaggio dell'album. John Lennon decise poi, in
seguito alla pubblicazione di Abbey Road, di recuperare le registrazioni di Get
Back insieme a Phil Spector, pubblicando l'album Let it Be nel 1970, che
divenne il loro ultimo 33 giri.
Anche questo Tomo vuole
essere un epitaffio alla mia lunga carriera di mancato musicista, scrittore,
artista, inventore e imprenditore.
Non posso certo dire di
essermi fatto mancare nulla o di avere lasciato qualcosa d’intentato, ma come
ebbe giustamente a dire Qoelet, tutto è vanità.
Vanità delle vanità, tutto è vanità.
Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno
per cui fatica sotto il sole?
Una generazione va, una generazione viene
ma la terra resta sempre la stessa.
Il sole sorge e il sole tramonta,
si affretta verso il luogo da dove risorgerà.
Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana;
gira e rigira
e sopra i suoi giri il vento ritorna.
Tutti i fiumi vanno al mare,
eppure il mare non è mai pieno:
raggiunta la loro mèta,
i fiumi riprendono la loro marcia.
Tutte le cose sono in travaglio
e nessuno potrebbe spiegarne il motivo.
Non si sazia l'occhio di guardare
né mai l'orecchio è sazio di udire.
Ciò che è stato sarà
e ciò che si è fatto si rifarà;
non c'è niente di nuovo sotto il sole.
C'è forse qualcosa di cui si possa dire:
«Guarda, questa è una novità»?
Proprio questa è già stata nei secoli
che ci hanno preceduto.
Non resta più ricordo degli antichi,
ma neppure di coloro che saranno
si conserverà memoria
presso coloro che verranno in seguito.
Ho più volte scritto di questa mia ossessione del ricordo postumo (Panopticon, Niente sarà più come prima), di una vanagloria impossibile a chi è privo di talento e io ho voluto perseverarvi fino in ultimo raccogliendo in venti tomi tutti i miei deliri creativi. Però questa è una vanagloria di soddisfazione.
Ne ho fatto di lavoro e
anche molto buono.
Assiemando e rileggendo
le oltre 9000 pagine di cui si compone la mia Opera Omnia, ho provato momenti
di grande emozione, orgoglio e sorpresa per cose che avevo completamene
dimenticato, molte delle quali in grande anticipo sui tempi.
Ma le analisi sono anche un momento in cui essere flagellati da un’impietosa verità.
Delle 9085 pagine, 6205 sono relative allo scrivere e 2395 alle idee e progetti.
Questi all’apparenza roboanti numeri, nulla dicono però sulla validazione da parte di una terza parte della qualità dei lavori stessi.
Ribadendo il mio quasi totale apprezzamento per quanto fatto, i numeri rivelano invece una ben più povera realtà.
Ho scritto o iniziato a scrivere 30 romanzi, di cui sette mai completati.
Dei 23 romanzi che ho terminato ne ho pubblicati solo 6, mentre ben 17 sono rimasti nel cassetto.
Un ben misero risultato si potrebbe dire. Io invece, dopo averli riletti e riscoperti, penso di non avere nulla di cui rimproverarmi se non di non avere avuta la forza e l’intraprendenza di trovare l’editor e l’editore che credessero in me.
Le storie sono belle e avvincenti e la scrittura scorre come un fiume impetuoso.
E a questo punto, ormai, tanto basta.
Delle 14 sceneggiature nessuna ha ma visto la luce.
Nei saggi invece le cose sono andate meglio e degli 8 saggi che ho scritto, ne ho pubblicati ben 4 più uno (strategic management) anche se solo all’interno dell’azienda per la quale l’avevo scritto.
Delle 109 idee che ho avuto 33 sono rimaste tali, 63 sono considerabili come progetti grazie al lavoro di analisi e programmazione che ho dedicato loro, 13 hanno infine visto la luce senza però che nessuna di esse ottenesse un successo interessante.
Anche sulle idee, anzi ancor più, vale la regola del non essere stato in grado di trovare, convincere e coinvolgere dei partner (gli equivalenti dell’editor e dell’editore per la scrittura) e soprattutto di non aver avuto la capacità e il coraggio di portarle fino in fondo.
I pochi che hanno dato una scorsa alla mia Opera Omnia si sono sempre espressi con un paragone davvero azzardato: Leonardo da Vinci.
In realtà lui ha lasciato capolavori immortali almeno in un campo, mentre la maggior parte delle sue altre idee fantascientifiche sono rimaste schizzate nei suoi meravigliosi codici criptati e grazie alla loro validità sono state oggetto di innumerevoli studi e addirittura costruzioni postume di fattibilità.
Io invece ho pubblicato pochi scritti rapidamente scomparsi e dimenticati.
Il lusinghiero paragone non regge.
Qui finisce la mia opera. E tutto questo, purtroppo, è stato inutile.