L’automazione è una disciplina di grande fascino. Escogitare metodi per fare le cose con meno fatica, più velocemente, con maggior sicurezza e a minori costi è decisamente una buona cosa.
Nel capitolo precedente abbiamo visto i risultati prodigiosi di questa disciplina che utilizza le più disparate tecnologie e tecniche che l’uomo ha inventato nel corso dei secoli per produrre ben durevoli e di prima necessità.
E fin qui non c’è nulla di sbagliato. Se oggi possiamo acquistare un concentrato di tecnologia come un computer per poche centinaia di euro lo dobbiamo esclusivamente all’automazione.
E non solo per i costi ma proprio anche per la sua produzione altrimenti impossibile se affidata a normali operai e non a raffinati e rarissimi orologiai svizzeri dotati di una manualità per l’ultrapiccolo decisamente difficili da reperire. E potremmo oggi vivere senza computer?
Assolutamente no! Attraverso i nostri computer passa ormai buona parte delle nostre attività e quindi anche della nostra vita. Vedere un film, acquistare un prodotto, leggere i quotidiani, pagare le tasse (sigh), chattare con gli amici, giocare, lavorare, molto ormai passa per un computer sia che si tratti di un laptop, di un grosso desktop o di uno smilzo smartphone.
Eppure a tutto il progresso che ci circonda (sto parlando del mondo occidentale, gli “altri” mondi necessitano di misure che esulano dalle considerazioni proprie di questo libello), alle meraviglie della tecnologia, all’innovazione incalzante, alla digitalizzazione totalizzante non corrisponde un proporzionale aumento del benessere economico e sociale delle famiglie.
I nostri figli, soprattutto, faticano a trovare, non dico un posto di lavoro fisso, un lontano ricordo di un passato ormai desueto, ma un’occupazione stabile e ancor più coerente con gli studi universitari che noi genitori gli abbiamo pagato. Un ingegnere intervistato in televisione e che si dichiara entusiasta di avere trovato lavoro come spazzino (ops… operatore ecologico) è una cosa davvero aberrante.
Sì, perché oggi non sono a rischio solo i lavori cosiddetti da blue collar, ma lo sono parimenti anche quelli da white collar, quelli impiegatizi, ma non solo quelli da ragioniere o perito elettrotecnico, ma anche i mestieri più creativi e intellettualmente stimolanti (ingegneria, ricerca, finanza, moda, arte, ecc.) sono a grandissimo rischio.
Bene, anzi male.
A questo punto mi esibirò in una cosa che farà imbufalire macroeconomisti, sociologhi, storici, politologi e statisti e probabilmente qualche altra decina di categorie professionali e accademiche.
Mi esibirò in un diagramma immaginifico, ovvero un diagramma dotato di nessuna base scientifica e che deve essere visto e interpretato non come una verità, ma un obiettivo da raggiungere. Un vero ricercatore, quando ha un’intuizione, passa mesi e anni in indagini demoscopiche, equazioni alle derivate parziali, ricerche bibliografiche prima di poterne stendere una bozza descrittiva. Io ho deciso di partire dal fondo per lasciare ad altri, se mai ci sarà qualcuno che lo vorrà fare, l’onere della prova.
Ma ecco il diagramma.
Nessuno vuole fermare l’innovazione.
Nessuno vuole fermare l’automazione, la digitalizzazione e la robotizzazione.
Nessuno vuole creare un nuovo movimento luddista.
Nessuno vuole ridurre i profitti aziendali e più in genere la ricchezza.
Lo scopo è nella definizione stessa: Slow Automation, l’automazione lenta.
Rallentiamo un po’ l’intensità dell’automazione per ridare a tutti coloro che non riescono a trovare o ritrovare la dignità che solo un buon lavoro può dare a qualsiasi essere umano.
La gente non vuole nuove forme di sussidi, assistenza e non vuole nemmeno ridurre drasticamente il proprio orario di lavoro.
La gente vuole lavorare, non passare il tempo al bar o ricevere assistenza economica basata su nuove istituzioni come la Robotax e la Webtax, redditi di cittadinanza o redditi universali versati a tutti indipendentemente dalla loro attività lavorativa o meno.
Qualsiasi altro meccanismo la società riuscirà a partorire, dividendo universale, reddito minimo garantito, imposta negativa, nessuno sarà socialmente utile come del sano lavoro.
Se invece si riuscisse a imporre un limite all’intensità di automazione, non all’automazione in quanto tale, si potrebbero riscoprire posti di lavoro ora annullati dalle macchine.
Il diagramma immaginifico di cui sopra non è altro che la rappresentazione grafica della modalità per raggiungere l’obiettivo di un alto grado di occupazione.
Ad una progressiva riduzione dell’intensità dell’automazione corrisponde un incremento dell’occupazione e una speculare riduzione della spesa pubblica ai fini assistenziali per la disoccupazione.
L’innovazione proseguirà il proprio trend naturale di crescita mentre i profitti aziendali, dopo una prima inevitabile flessione, dovrebbero crescere nuovamente grazie alle ipotesi d’intervento prospettate nella seconda parte del libro.
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