Più produzione = più vendite = più utili = più crescita = più ricchezza per tutti.

 

Questa è la semplicistica equazione che consciamente o inconsciamente sottende tutti i ragionamenti do industriali e politici

Se le prime tre eguaglianze sono corrette, non lo sono affatto le successive due in quanto hanno invece ripercussioni su fattori che esulano il campo di controllo della singola impresa.

 Quella della crescita per forza e infinita è in assoluto la più grande illusione del modello capitalista, ma anche di quello comunista che hanno entrambi sempre puntato sulla crescita della produzione manifatturiera (e non solo) attraverso il pesante uso dell’automazione meccanica ed elettronica/digitale poi.

Finché si tratta di aumentare la produttività della produzione alimentare per sfamare i miliardi di persone che abitano questo pianeta, si tratta di una cosa sacrosanta.

Nel 1972 il Club di Roma, un’associazione non governativa formata da scienziati, economisti, imprenditori e statisti, commissionò al Massachusetts Institute of Technology (MIT) la stesura di un rapporto sul futuro del pianeta. Donella Meadows coordinò il gruppo di lavoro che utilizzò una simulazione a computer, denominata World3, per predire le conseguenze della continua crescita della popolazione sull'ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana.

In estrema sintesi, le conclusioni del rapporto furono le seguenti.

A fronte di un tasso di crescita costante della popolazione, dell'industrializzazione, dell'inquinamento, della produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse, i limiti dello sviluppo del pianeta sarebbero stati raggiunti in un momento imprecisato entro cento anni. Il risultato più probabile sarebbe stato un declino improvviso e incontrollabile della popolazione e della capacità industriale.

Era possibile e quindi auspicabile modificare i tassi di sviluppo e giungere a una condizione di stabilità ecologica ed economica, sostenibile.

Nel 1992 fu pubblicato un primo aggiornamento del Rapporto, col titolo Beyond the Limits (oltre i limiti), nel quale si sosteneva che erano già stati superati i limiti della capacità di carico del pianeta.

Un secondo aggiornamento, dal titolo Limits to Growth: The 30-Year Update venne pubblicato nel 2004. In questo rapporto, Donella Meadows, Jorgen Randers e Dennis Meadows aggiornarono e integrarono la versione originale, spostando l'accento dall'esaurimento delle risorse alla degradazione dell'ambiente. Nel 2008 Graham Turner, del Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation (CSIRO) Australiano, pubblicò una ricerca intitolata Un paragone tra I limiti dello sviluppo e 30 anni di dati reali in cui confrontò i dati degli ultimi 30 anni con le previsioni effettuate nel 1972, concludendo che i mutamenti nella produzione industriale e agricola, nella popolazione e nell'inquinamento effettivamente avvenuti erano coerenti con le previsioni del 1972 di un collasso economico nel XXI secolo.

Tutti questi report divennero chiffon de papier, dal punto di vista della sostenibilità agricola, quando gli anticrittogamici consentirono di portare la produzione agricola a livelli inimmaginabili e di soddisfare i bisogni primari di immense popolazioni come quella della Cina e dell’India.

Parlando sempre e solo del mondo occidentale, la domanda che sorge spontanea, è perché ci debba essere sempre una crescita economica e se è mai possibile che esista una variabile che cresce all’infinito, quasi fosse l’entropia dell’universo.

La gran parte dei Paesi del mondo preme l’acceleratore sulla  crescita del Prodotto Interno Lordo. Le ragioni dei politici vengono normalmente giustificate dall’intento di aumentare il benessere dei propri cittadini e di produrre posti di lavoro.                                                                                     

È ormai ampiamente condiviso il concetto che il Prodotto Interno Lordo pro capite non sia in grado di tradursi pienamente in benessere per i cittadini. Se è vero che l’incremento del PIL pro capite può generare maggiore benessere nei Paesi poveri (di risorse economiche e naturali), dove un aumento omogeneo (e questa è una cosa rara perché di solito ne beneficiano in pochi) del PIL pro-capite corrisponde a un aumento dei beni e dei servizi a disposizione dei cittadini. Ma nei Paesi in cui il PIL è già elevato, una sua crescita è scarsamente utile per i cittadini che già sono saturi di beni e servizi.

La crescita del PIL quale generatore di posti di lavoro è la conseguenza di uno dei mali peggiori dell’Economia della crescita: l’esasperata enfasi sull’incremento della produttività (maggiore output a parità di risorse – di capitale e umane - impiegate). La maniacale ricerca della produttività, impone la crescita all’infinto al fine solo e soltanto di conservare un livello di occupazione stabile.

Le nazioni perseguono l’obiettivo della crescita infinita per acquisire o conservare potere nelle relazioni commerciali e politiche internazionali.

Le economie avanzate, per conservare la propria posizione negli equilibri di potere mondiali, devono continuare a crescere, le economie emergenti pure, per raggiungere il tenore di vita dell’economie avanzate e le economie povere hanno un disperato bisogno di crescere per ridurre la propria povertà (anche se ciò comporta un progressivo impoverimento di risorse naturali).

La società della crescita è insostenibile nel lungo periodo sia economicamente che ecologicamente in quanto basata su una irragionevole avidità, individualismo e competizione tra nazioni. È un sistema basato sull’individualismo, la competizione e la disuguaglianza.

In questa prospettiva, diversi economisti e filosofi propongono un nuovo modello sociale, basato su valori differenti da quelli su cui si fonda l’attuale società. Essi sono i sostenitori della “decrescita”. La decrescita è un “progetto volontario”, completamente distinto dalla “recessione” (che è un fenomeno non voluto) che si sta abbattendo in diversi Paesi (Serge Latouche, 2012).

Tra le alternative proposte, oltre a quella di imboccare consapevolmente la strada della decrescita (felice o meno), emergono suggerimenti innovativi da blue economy, economia civile, economia circolare, sharing economy, convivialismo, movimenti dei commons, ecc.

Ma probabilmente l’umanità non è pronta ad aderire ai concetti di frugalità e non belligeranza competitiva che i suddetti modelli implicano.

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