( Elbert Hubbard )

Tra un lavoretto e l’altro, visto che il suo prestigio e la sua fama erano rimaste intatte, Justin Durban continuò a essere un protagonista della vita pubblica di Hulahop. Non c’era cerimonia, inaugurazione, festa rionale o cocktail alla quale non era invitato.

Lui presenziava solo a quello che gli piaceva e questo molto spesso corrispondeva ai più umili degli eventi, come le feste del salame o l’inaugurazione di un circolo per anziani.

Gli unici eventi ufficiali cui partecipava volentieri erano quelli legati al prosieguo delle opere iniziate durante il suo incarico, come l’inaugurazione del primo dissalatore o la presentazione di un nuovo mezzo di locomozione ecologico, e di questi gli Hulahoppesi ne inventavano uno nuovo la settimana.

In queste occasioni Justin Durban poteva toccare con mano i progressi dei suoi progetti e tutto ciò, comprensibilmente, lo riempiva d’orgoglio.

Il fallimento di Corinman continuava a avvampargli dentro e solo in quelle occasioni il bruciore della delusione si placava.

Corinman era ormai diventata un’ossessione, il limite invalicabile della sua esistenza. Era stata senza dubbio la sua idea più grande, dove la Grazia di Dio diventava amorevole aiuto a chi aveva bisogno. Ma pochi l’avevano capito perché pochi, ormai, credevano in Dio. Nel segreto della sua mente continuava a rivedere il progetto, ad apportarvi migliorie, perché era ancora convinto della bontà della sua idea. Non ne aveva però più parlato con nessuno, tanto meno con Frida, perché se ne vergognava. Lei certo aveva intuito quel che gli ardeva dentro, perché ogni giorno tentava di scoprire perché lui non fosse più il Justin Durban di una volta. Lui si era nascosto dietro all’avanzare dell’età e al fatto che non riusciva ancora ad abituarsi al suo nuovo stato di pensionato nullafacente. E in questo c’era un po’ di vero. Dopo quarantanni di attività, svegliarsi avendo dinnanzi una giornata vuota gli sembrava un vero spreco e anche se i lavoretti domestici della signora Frida sembravano non avere fine e lo tenevano parecchio occupato, la noia stava diventando il vero nemico da battere.

A parte questi dettagli, che lui sapeva essere tali perché la salute era buona e i soldi non mancavano, Justin Durban era soddisfatto e lo era ancor più quella mattina, mentre si recava da solo, sua moglie era occupata a scegliere la nuova tappezzeria del salotto e l’avrebbe raggiunto più tardi direttamente nella Sala del Consiglio, alla celebrazione del quinquennale dell’avvento della Demotivazione. In quell’occasione l’attuale Governatore, un conservatore schiavo della Kampf, avrebbe presentato un dettagliato rapporto sullo stato sociale di Hulahop e avrebbe insignito Justin Durban dell’onorificenza più ambita: il Gran Cerchio di Tolla, detto anche Hulahop nell’antica lingua della Valle. Le origini di quel riconoscimento si perdevano nella notte dei tempi e si diceva che il primo ad esserne stato insignito fosse proprio messer Hula, il pellegrino che aveva scoperto la Valley dandogli poi il nome (la desinenza hop, invece, nessuno sapeva da dove provenisse). Si tratta di un leggerissimo cerchio di latta a sezione cilindrica del diametro di circa un metro che andava infilato di traverso, appoggiato sulla spalla sinistra e fatto cadere sul fianco destro, quasi fosse una fascia da sindaco. In tutta la millenaria storia di Hulahop solo nove persone avevano avuto l’onore d’indossarlo e lui sarebbe stato il decimo.

Anche se aveva sempre pensato che si trattava di un’onorificenza piuttosto scomoda e ridicola - perché diavolo non avevano scelto una medaglia o una giarrettiera? – Justin Durban era molto emozionato e così, arrivato a pochi passi dal Palazzo del Consiglio, si accorse solo all’ultimo istante di quel tizio, piccolo e sporco che gli si parò davanti.

Aveva un sudicio cappello calato sulla fronte e indossava un impermeabile spiegazzato e bisunto. Di lui, Justin Durban vide solo gli occhi accesi d’odio.

E udì soprattutto la voce bassa e rauca.

“Ti ho trovato finalmente, vecchio bastardo!”

“Chi è lei? Mi lasci in pace o…”

“Tu e la tua stupida idea di fare sparire il denaro mi avete rovinato la vita. Guarda come sono conciato. Una volta vestivo solo Armando e avevo un Rolodex d’oro al polso. Ti sembra giusto questo?”

“Mi scusi buon uomo, ma ho fretta. Mi dia il suo lettore di carte che le regalo qualcosa”.

“Tu vorresti farmi la carità? Maledetto bastardo! Io voglio molto più da te”.

“Capisco che lei sia disperato” continuò calmo Justin Durban, non era la prima vota che un ex malvivente che non era riuscito a reinserirsi nella società lo apostrofava in quel modo “ma io posso aiutarla. Conosco personalmente l’Assessore alle Politiche Sociali e sono certo che troverà una sistemazione adatta al suo caso”.

“Oltre la carità vorresti anche trovarmi un lavoro? Tu sei pazzo. Sai chi sono, anzi chi ero io?”

“No. Non ricordo di averla mai incontrata prima…”

“Io sono, anzi ero Don Vito Carmelone. Il Padrino di tutti i Padrini di Hulahop”.

A quel punto Justin Durban rabbrividì. Si pensava che Don Vito Carmelone fosse espatriato poco dopo l’avvento della Demotivazione perché nessuno, nemmeno i suoi più stretti collaboratori avevano avuto più notizie sul suo conto.

“Credevate che me ne fossi andato, eh. Ma Don Vito non scappa. Sono sempre rimasto qua ad aspettare il momento giusto per vendicare il mio onore. E questo, finalmente, è arrivato. Crepa bastardo!”

Con un gesto tanto rapido, quanto improvviso, Don Vito estrasse dalla tasca dell’impermeabile un coltello a serramanico già aperto e lo infilò nell’addome dell’ex Governatore di Hulahop.

Foto di Tiziana Callegari

Justin Durban si svegliò urlando. Era fradicio di sudore. La signora Frida, che quella mattina si era alzata prima di lui, corse in camera da letto.

“Non è niente” la tranquillizzò Justin “ho avuto solo un incubo…”

“Mi hai fatto spaventare. Beh, adesso alzati se no farai tardi al lavoro”.

Il signor Durban si alzò, fece colazione, si fece la barba, si lavò e dopo essersi vestito e aver dato un bacio sulla guancia della moglie, salì in macchina per recarsi al lavoro.

Era un agente di commercio, un rappresentante, e avrebbe passato la maggior parte della sua giornata, così come tutte le altre, in coda, chiuso nella sua macchina, nel tentativo di raggiungere clienti che non ne volevano sapere di comprare i cuscinetti a sfera prodotti dall’azienda per cui lavorava.

Il traffico di Hula, a quell’ora era impossibile. Vide un ragazzo sorpassarlo sulla destra in bicicletta. Lo raggiunse e lo superò non appena il semaforo divenne verde. La scena si ripeté per tre volte, poi il ciclista superò il quarto semaforo e il signor Durban lo vide allontanarsi rapidamente e poi sparire dalla sua vista.

Abbassò il finestrino, ma i gas di scarico di un grosso camion che gli era accanto, lo obbligarono a chiuderlo nuovamente. Da mesi non pioveva e la sua macchina da bianca che era aveva assunto un colore grigiastro.

Accese la radio sul notiziario locale. Morti ammazzati, scippi, furti e rapine, il solito florilegio quotidiano di disgrazie e malefatte.

Anche lui quella notte aveva rischiato di morire ammazzato…

Ah già! Ma per fortuna, si era trattato solo di un sogno.

Per fortuna? Il signor Durban si fermò al lato di una strada periferica e spense il motore.

Era in ritardo all’appuntamento con il suo cliente più importante, ma non gliene importava. La sua Hulahop Valley era diventata una vera cloaca e non s’intravedeva nemmeno una luce in fondo al tunnel.

Peccato. Peccato che il suo fosse solo un sogno.

Ci sarebbe voluto davvero qualcuno di nuovo, qualcuno che corrispondesse alla descrizione fatta da Einstein.

“Tutti sanno che una cosa è impossibile.
Finché non arriva chi non lo sa, e la fa”.


Ci sarebbe voluto davvero il Justin Durban del sogno, un uomo con il coraggio delle proprie idee, in grado di salvare le nostre anime e, anche, i nostri corpi.

Forse un uomo del genere esisteva e forse, in quello stesso momento, stava preparandosi a cambiare il mondo.

Justin Durban ringraziò il Signore per il sogno di quella notte.

Forse quell’uomo, era proprio lui, Justin Durban, il rappresentante di cuscinetti a sfera. Colui che aveva sognato un altro sé stesso coraggioso.

Justin Durban scese dalla macchina e cominciò a vivere quello che aveva sognato.



FINE

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