( Andrew Marvell )
Justin Durban era preoccupato.
Tutto stava andando troppo bene e questo non era
affatto normale. L’inverno era alle porte e lui sentiva che sarebbe successo
qualcosa. Le giornate passavano tranquille nel solito caos della macchina
amministrativa e, nemmeno all’orizzonte, si intravedeva il benché minimo
pericolo. Ma lui continuava a essere preoccupato.
Convocò uno a uno tutti gli Assessori, chiedendo
loro se c’era qualche segnale debole dal quale si potesse dedurre l’arrivo di
guai, ma nessuno di loro aveva la minima idea di cosa nemmeno significasse la
frase “segnale debole”.
Disperato per tanta ignoranza, il Governatore, si
preparò al peggio e quello arrivò, feroce, improvviso e letale.
Una mattina di dicembre si verificò il più grave
black-out della storia di Hulahop.
L'energia elettrica mancò ininterrottamente per
settantadue ore. Alla fine il bilancio fu drammatico: trentasette morti per
incidenti, duecentottantasei deceduti negli ospedali a causa della mancanza di
alimentazione delle apparecchiature elettroniche di sussistenza, oltre duemila
tra feriti e ammalati a causa del black-out. Senza energia elettrica, inoltre,
case, fabbriche, ospedali, uffici pubblici, rimasero senza riscaldamento, senza
telefoni, senza acqua. Centinaia di persone rimasero chiuse negli ascensori,
altre nelle metropolitane, altre ancora in parcheggi seminterrati. Il caos fu totale e la protezione civile
intervenne ovunque riuscì, ma in molti casi purtroppo in ritardo. Gli esperti attribuirono quel drammatico
accadimento alla contemporaneità di diversi eventi: un errore di stima degli
approvvigionamenti di greggio che aveva lasciato ben due centrali all’asciutto,
un fulmine che aveva colpito la linea di alta tensione d’interscambio di
emergenza con il paese limitrofo, il fermo di una centrale turbogas per
manutenzione e il guasto di uno dei computer centrali che gestiva la rete di
distribuzione. Partirono inchieste, denunce e contro denunce,
reportage della stampa, cortei di protesta e un bailamme mediatico che occupò
l’attenzione e la mente di tutti gli Hulahoppesi, tranne una: quella di Justin
Durban. Il Governatore, visto che tutti si erano erti a
giudici e a pubblici ministeri, si disinteressò completamente di quanto era
accaduto, perché i morti purtroppo non potevano essere riportati in vita, e si
concentrò su come evitare che accadesse di nuovo.
Fault tolerance. Hulahop doveva dotarsi di un sistema a prova di guasto.
In informatica questo significava avere ad esempio più processori che lavoravano in parallelo e in caso di guasto di quello attivo, nulla andava perso, né l’utente si accorgeva dell’interruzione del servizio perché immediatamente un apparato elettronico denominato watchdog, letteralmente cane da guardia, si accorgeva del guasto, deviava tutte le necessità di calcolo da quello in errore a un altro funzionante. Naturalmente tanti più erano i processori disponibili, tanto più elevato era il grado di fault tolerance del sistema risultante e quindi la sua affidabilità.
Con delle centrali di produzione di energia elettrica la cosa era decisamente più complicata, perché non era certo possibile avere delle costosissime centrali di riserva, mica si trattava di silicio…
Il silicio! Ma certo il silicio. Ecco come risolvere il problema.
Questa volta il Governatore si prese la libertà di non convocare il Consiglio per il solito incontro a porte chiuse, ma decise di fare loro una bella sorpresa e si fece iscrivere come oratore a un convegno su energia e ambiente che si sarebbe tenuto da lì a pochi giorni ne l’Hula Conference Center.
Si trattava di un convegno già previsto da molti mesi, ma i cui contenuti erano stati rapidamente riadattati al drammatico evento del black-out.
Vi partecipavano i maggiori esperti mondiali e Justin Durban, che amava le sfide, ma detestava schiantarsi contro i muri, quando prese la parola era visibilmente emozionato.
“Egregi Signori, illustri Professori, gentili Signore… voi mi scuserete se ho avuto l’ardire di chiedere agli organizzatori di ricavarmi un piccolo spazio nel vostro consesso, ma le terribili conseguenze del black-out, mi hanno scosso profondamente e desideravo portare il mio modesto contributo a questo importante convegno. Personalmente non mi sono mai occupato di energia, ma come manager e come uomo ho dovuto affrontare così tanti problemi da aver acquisito una particolare attitudine nel risolverli. Sono conscio di non avere alcuna competenza specifica in questi campi, ma penso di averne a sufficienza per abbozzare un’idea che, con il vostro contributo, possa un giorno diventare realtà. Se qualcuno di voi, a questo punto, si aspetta un altro coniglio dal cappello come lo SkySweeper, si tranquillizzi. Non è così. Questa volta mi limiterò a proporre un patto tra pubblico e privato basato sul principio della fault tolerance distribuita”.
Si sentì un forte brusio in sala perché era la prima volta che un uomo politico usava pubblicamente un termine tecnico.
“Sono un convinto assertore dell’antico adagio Aiutati che il ciel ti aiuta, dove il cielo in questo caso è l’amministrazione pubblica. Un problema come quello energetico non può, infatti, essere risolto solo dal centro, ma necessita del fattivo contributo di tutti. Per prima cosa direi di cominciare con un intervento semplicissimo per il Governo, di medio onere per l’industria e di poco peso per i singoli cittadini.La mia proposta è semplicissima: installare, su tutti i tetti della Valley, degli impianti fotovoltaici e, ove conveniente, installarli anche sui balconi delle abitazioni, al posto delle ringhiere. Vi prego Signori… lasciatemi finire. Poi potrete dire tutto quello che vorrete. Grazie… L’installazione dovrà essere realizzata entro cinque anni, per legge e grazie a forti incentivi statali. In questo modo, stando a una stima grossolana, dovremmo riuscire a produrre quasi il trenta percento del nostro fabbisogno energetico, riducendo a un lumicino l’eventualità di black-out perchè ogni edificio sarebbe autosufficiente nelle ore diurne, quando il consumo energetico è maggiore, per le proprie esigenze vitali quali l’alimentazione dei frigoriferi, degli impianti di emergenza degli ospedali, eccetera. Ovviamente ogni singolo impianto sarà connesso con la rete pubblica e gli eventuali eccessi di produzione verranno assorbiti e pagati dal Gestore della rete stessa. Alla fine, includendo anche i risparmi ottenuti dall’azione già condotta nei confronti del traffico, dovremmo ridurre le emissioni di CO2, il gas principale responsabile dell’effetto serra, di una quota compresa tra il trenta e il cinquanta percento.
So di non avervi raccontato nulla di nuovo scientificamente parlando. La vera novità rispetto ai passati Governi è una sola: il coraggio di prendere decisioni che dovevano essere già prese molto tempo addietro, visto che stiamo parlando della sopravvivenza stessa della specie umana”.