( F. Salvi)

Foto di Tiziana Callegari

Era trascorso giustappunto un mese dalla riunione del Consiglio che aveva sancito il suo trionfo. Aveva dovuto passare quel mese in giro per mezzo mondo, invitato da numerose metropoli a illustrare quello che, universalmente, era denominato Metodo Durban. Parigi, Londra, Francoforte, Tokio, New York: non c’era una grande metropoli che non fosse interessata al suo metodo.

Justin Durban ricevette anche molti inviti da Università che ritenevano il caso di Hulahop un vero e proprio esempio eccellente di marketing esperienziale.

Infatti il Governatore, inconsciamente, aveva usato su larghissima scala una delle più avanzate tecniche di marketing che non promuoveva il prodotto in se stesso, quanto l’esperienza dell’uso dello stesso.

Gli erano anche state offerte cifre favolose per convincerlo ad abbandonare la sua carica pubblica e diventare consulente di alcune grandi municipalità estere, ma lui aveva rifiutato senza alcun rimpianto.

Come giustamente diceva sua moglie Frida, non avevano bisogno nemmeno del suo stipendio da Governatore, figuriamoci di proventi per i quali avrebbe dovuto percorrere migliaia di chilometri in aereo, soggiornando per diversi mesi in paesi stranieri, lontano dalla sua amata Valley.

In verità, con l’estate che si stava avvicinando e lui che odiava il caldo sopra ogni cosa, un pensierino l’aveva fatto in favore di una città del profondo nord dove gli avevano assicurato che la temperatura non superava mai i dieci gradi centigradi, ma accettando quell’incarico avrebbe dovuto lasciare la carica di Governatore e lui pensava di potere dare ancora molto alla sua Valle.

Era solo maggio e già il termometro aveva superato più volte i trenta gradi. Per fortuna che anni addietro aveva acquistato una casetta fuori città, a meno di trenta chilometri dal centro di Hula. Si trattava di una villetta modesta, ma circondata da un giardino ombroso e soprattutto posta a quasi cinquecento metri sul livello del mare. Quando vi arrivava la sera, la temperatura era almeno di cinque gradi inferiore a quella del centro cittadino a fronte, oltretutto, di una netto calo della percentuale di umidità. A Hula invece il caldo era implacabile.

Justin Durban aveva letto da qualche parte che quel fenomeno si chiamava isola di calore. Al di sopra di qualsiasi grande città difatti ristagna in permanenza una cappa d’aria surriscaldata, di circa 200-300 metri di spessore, che costituisce una vera e propria isola più calda rispetto al circostante ambiente rurale. Tale surplus di calore rende più sopportabili i freddi invernali ma nelle assolate e calde giornate estive trasforma le città in una specie di forno crematorio. L’isola di calore trae origine dalle caratteristiche costruttive urbane, costituite in prevalenza da asfalto, calcestruzzo, mattoni e cemento, ossia materiali che, rispetto al verde della campagna, assorbono in media il 10% in più di energia solare. L’eccesso di calore solare immagazzinato dalle infrastrutture cittadine viene poi riemesso per irraggiamento, con conseguente surriscaldamento dell’aria che sovrasta la città.

Foto di Tiziana Callegari

Come tutti i corpi anche la superficie terrestre perde energia per irraggiamento. Ovviamente nel corso del giorno la perdita di energia sotto questa forma non è evidente dal momento che l'energia solare incidente è di intensità maggiore. Subito dopo il tramonto e nel successivo corso della notte, soprattutto in condizioni di cielo sereno il suolo si raffredda, causando un raffreddamento degli strati d'aria a contatto con esso. Se il vento non possiede una intensità sufficiente, a rimescolare l'atmosfera, la diminuzione di temperatura nell'aria a contatto con il suolo dà origine a un profilo in cui la temperatura dell'aria aumenta con la quota cioè a un profilo cosiddetto di inversione. Nel corso della notte il raffreddamento interessa strati d'aria sempre più lontani dal suolo, cosicché la quota di inversione aumenta fino a raggiungere all'alba un massimo che può arrivare nei mesi invernali fino a 300 m circa.

Lo strato d'aria sotto la sommità dell'inversione è fortemente stabile, per cui la turbolenza atmosferica, e quindi la diffusione, sono grandemente attenuate. La sommità dello strato d'inversione costituisce pertanto una superficie riflettente per gli inquinanti che vi rimangono intrappolati. Questa condizione persiste fino a che il riscaldamento mattutino della superficie terrestre e dell'aria al di sopra di essa risulta sufficiente a "rompere" lo strato di inversione. Con il sorgere del sole, infatti, si verifica un fenomeno che può essere considerato l'opposto della situazione notturna. L'aria più a contatto con il suolo si riscalda, le masse d'aria più calde a causa della loro minore densità tendono a salire verso l'alto e vengono sostituite da masse d'aria più fredde provenienti dall'alto. Questo porta quindi ad una instabilità degli strati bassi dell'atmosfera con un conseguente rapido e ampio rimescolamento dell'aria. Il riscaldamento interessa strati d'aria sempre più alti e quindi aumenta la profondità dello strato rimescolato che viene a sostituire progressivamente lo strato d'inversione notturna (è la cosiddetta "erosione dell'inversione").

Anche le disomogeneità topografiche possono influenzare le caratteristiche dispersive dell'atmosfera. È stato riscontrato infatti che le inversioni notturne avvengono con minore frequenza sulle città che non nei loro dintorni, poiché la città si comporta come una "isola di calore" sia a causa dell'energia liberata dalle attività umane, sia a causa dell'elevato potere assorbente dell'asfalto e delle case, che agiscono da "volano termico" liberando di notte l'energia (di origine solare) immagazzinata durante il giorno.

Justin Durban, che credeva profondamente al detto “aiutati che il ciel ti aiuta”, pensò che qualcosa andava fatto per rompere quel maledetto strato d’inversione termica.

E proprio quella sera la signora Frida gli chiese di dare un’occhiata alla cappa aspirante della cucina che aveva cominciato a fare le bizze. Justin Durban detestava i lavori di aggiustaggio, ma quella sera benedisse la ventola che si era incastrata perché gli fornì lo spunto per la più folle delle idee che mai gli aveva attraversato la scatola cranica: rinfrescare Hula con il più grande aspiratore di tutti i tempi.

Naturalmente gli bastò una ricerca su Internet per capire come l’idea dell’aspiratore fosse assolutamente ridicola. Ce ne sarebbe voluto uno enorme. No, non poteva essere quello l’obiettivo. Doveva concentrarsi sul concetto di rompere lo strato d’inversione termica, ossia facilitare quello che un po’ di vento avrebbe fatto in modo del tutto naturale se solo Hula non fosse stata edificata al centro di una pianura quasi completamente priva di brezze.

 

La mattina dopo, mentre si faceva la barba ebbe la prima visione di SkySweeper.